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La tabernaria By: Giambattista della Porta (1535?-1615) |
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LE COMMEDIE
A CURA
DI
VINCENZO SPAMPANATO
VOLUME PRIMO BARI
GIUS. LATERZA & FIGLI
TIPOGRAFI EDITORI LIBRAI
1911 LA TABERNARIA
INTERLOCUTORI GIACOCO vecchio
GIACOMINO suo figlio
CAPPIO servo
LARDONE parasito
ANTIFILO innamorato
Spagnuolo
Pedante
ALTILIA giovane
LIMA balia
Tedesco
LIMOFORO
PSEUDONIMO
Capitano. La favola si rappresenta in Napoli. ATTO I.
SCENA I. GIACOCO, GIACOMINO, CAPPIO.
GIACOCO. Tate, petate e castagne infornate. Zitto, che ti venga la
pipetola; m'hai dato tante vernecalonne e vernecocche che m'hai fatto
venire le petecchie. Lassamo sti conti dell'uorco, Iacoviello mio,
figlio buono come lo buono iuorno, e ascota ca te boglio dicere: io me
ne vao a Posilipo, ca Smorfia lo parzonaro m'ha ditto ca vole
vendegnare; e se non ci vao e sto con tanti d'uocchi apierti, dell'uva
non me ne fa toccare n'aceno. GIACOMINO. Andate in buon'ora, Giacoco, mio caro padre, attendete alla
vostra salute da cui dipende tutta la nostra; ma quando sarete di
ritorno? GIACOCO. Crai, poscrai, poscrigni o piscrotte allo chiú chiú, ca la
vendegna ce la faccio brocioleare. Guardáte la casa, pigliatevi spasso
e sguazzate. CAPPIO. Se volete che sguazziamo, lasciateci denari assai. GIACOCO. Mò volea mettere no spruocco allo pertuso se non ci
rispondevi tu e bolivi danari: ca te venga la visintieria e ti si
secchi la lengua quanno li nuommeni! CAPPIO. Una dozina di ducati che ne lasciaste sarebbe ben poca. GIACOCO. Squágliamete denante, ca puozze sparafondare, ca m'hai dato
na pommardata dintro l'orecchia. Ca te sia data stoccata catalana alla
zezza manca, ca ce capa dintro lo Castiello co l'artigliarie e onne
cosa! non me ne mandare chiú de chesse giasteme, ca me fareste
diventare no pizzico de cenere. CAPPIO. Oimè! GIACOCO. Oimè, ca trona: va', frate mio, ca marzo se ne trase. CAPPIO. Non sguazzaremo dunque? GIACOCO. «Né mò né mai» disse Cola da Trane. Iacoviello mio, sai ca
te boglio dicere? cerca dintro le saccocciole de chille cauze vecchie
meie, ca ce trovarai doe cincoranelle larghe, stipatelle; e mò ca
m'arrecordo, apri quello scrigno vecchio e cerca dintro chille
bertole, ca ce trovarai na cinquinella. Compráte robbe a bizeffe,
mangiate ad uocchie de puorco, satorateve a pietto de cavallo, bevete
a diluvio; e lassate qualche morzillo pe quanno torno. CAPPIO. Lasciatici alcun'altra cosa. GIACOCO. Guerregnao, chisto m'ha fatto la gatta: non aggio chiú
spanto, porrissivo sonare le campane de gloria. CAPPIO. Qualche cosetta almeno. GIACOCO. Te', all'uocchi tuoi! CAPPIO. Volete che pigliamo pane in credenza dal fornaio? GIACOCO. None, te dico. CAPPIO. Che solamente spendiamo quelle cincoranelle? GIACOCO. Sine, te dico. Non chiú parole, ca me se abbottano sti co....
chiú de na guállara. CAPPIO. Metterò mano alla botte. GIACOCO. Se tu metti mano alla votte, io metterò mano alle bòtte pe
sse spalle: schitto che ti muovi a far delle toie, quanno torno te
faraggio provare che zuco renne cótena, pe l'arma delli muorti mei.
Iacoviello mio, me ne vao; covernamitte. CAPPIO. (Che non ci torni piú!). GIACOCO. Che hai vervesiato, chiattelluso, scummabruoccuoli, aguiento
da cancari? CAPPIO. Il Cielo vi facci tornar presto! GIACOCO. Vao, ca no me coglia notte pe la via.
SCENA II. CAPPIO, GIACOMINO.
CAPPIO. Mira avarizia di uomo, piatisce con i cimiteri e con i vermi e
risparmia come non avesse a morir mai. GIACOMINO. Quanto piú invecchia l'uomo, tanto l'avarizia piú
ringiovenisce: egli è cosí avaro come misero e cosí misero come avaro. CAPPIO. O che mai ne paressero vecchi! tutti avari, fastidiosi,
ritrosi, pazzi, rimbambiti; sempre minacciano, bestemiano, gridano, si
lamentano, né si contentano mai. GIACOMINO. Veramente quando l'uomo passa i quarant'anni doverebbe
morire e smorbare il mondo. Tutti perdono la memoria per non
ricordarsi di quando son stati giovani. CAPPIO. Anzi morire alli quaranta e lassar godere a' giovani com'han
essi goduto... Continue reading book >>
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