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La testa della vipera By: Vittorio Bersezio (1830-1900) |
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N. 118 VITTORIO BERSEZIO LA TESTA DELLA VIPERA VOLUME UNICO. MILANO SOCIETÀ EDITRICE SONZOGNO Via Pasquirolo N. 14. VITTORIO BERSEZIO LA TESTA DELLA VIPERA LA TESTA DELLA VIPERA ROMANZO DI VITTORIO BERSEZIO VOLUME UNICO MILANO SOCIETÀ EDITRICE SONZOGNO 14 Via Pasquirolo 14 1896. Proprietà letteraria Tip. dello Stab. della Società Editrice Sonzogno. LA TESTA DELLA VIPERA I. Erano già le tre del mattino, e i giuocatori, sempre più accaniti intorno al tappeto verde, chiedevano nuovi mazzi di carte ai servitori sonnacchiosi del club . Uno di questi aprì l'uscio di quel salotto dall'afa soffocante, s'inoltrò fino al tavolo dei giuocatori, e toccò discretamente sopra la spalla un uomo di circa quarant'anni, che, anche da seduto, appariva alto di statura, con un testone tanto fatto, irto di capelli rossigni tagliati corti che parevano punte di lesina, con ispalle grosse, rotonde, quasi gibbose. Quest'uomo si voltò bruscamente e saettò chi l'aveva tocco di uno sguardo irritato cogli occhî grigi, che, in mezzo a quel faccione, apparivano piccolissimi, ma luccicavano d'un fuoco maligno. Che cosa c'è? domandò egli ruvidamente. Son venuti a cercare di lei da casa sua. Quell'altro corrugò le grosse, fulve sopracciglia. E senz'altro si voltò di nuovo al tappeto verde. Scusi, insistette il servo. Dice che è cosa di premura... Quella donna vuole assolutamente parlarle. Donna!... È una donna? Sì, signore. Vecchia? Non più giovane. Piccola, tozza, rossa in viso? Appunto... E che cosa ha detto? Che aveva da parlarle, che premeva molto che la sentisse subito subito. Quell'uomo sbuffò contrariato e dispettoso, ma non esitò più; puntò le manaccie villose sulla tavola e si alzò collo stento che avrebbe avuto se la tenace pece lo avesse appiccicato alla seggiola. Te ne vai, Lograve? gli domandò uno dei giuocatori. Un momento. Conservatemi il posto... vengo subito. Raccolse in fretta le poche monete che aveva innanzi a sè, le cacciò in tasca, e col passo pesante seguì il servo in una camera attigua. Là stava aspettando una donna quale era stata descritta dal giuocatore. C'era in essa qualche cosa di sommesso e di impertinente, di umile e di presuntuoso; l'aspetto d'una serva che fa da padrona. Vestiva un abitaccio di cotone da pochi soldi al metro e per difendersi dal freddo di quella notte invernale s'era avvolta in un mantello impellicciato da mille lire: con un fazzoletto di lana s'era coperto il capo, e ora, levatoselo in quel caldo ambiente, mostrava una capigliatura abbondante, nera come ala di corvo, in cui correvano già numerosi i fili d'argento. I pochi resti di una bellezza volgare, contadinesca, sparivano sotto la pinguedine che le faceva enormi le guancie e sotto una espulsione cutanea che glie le arrossava. Gli occhî, neri come i capelli, avevano un'espressione audace, curiosa, investigatrice, spiacente. La voce era forte, maschia; le labbra sottili della bocca troppo grande scoprivano ad ogni momento i denti bianchissimi e robusti. Il collo grosso e corto aveva un giro di granate con un fermaglio rotondo d'oro, grosso come il dito pollice; e le mani tozze, corte, dalle unghie schiacciate, erano sovraccariche di anelli... Continue reading book >>
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