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Messere Arlotto Mainardi Pievano di S. Cresci a Maciuoli By: Francesco Domenico Guerrazzi (1804-1873) |
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DI
F. D. GUERRAZZI
TERZA EDIZIONE
LIVORNO GIO. BATTISTA ROSSI EDITORE FIRENZE NAPOLI
LIBRERIA DEGLI SCOLARI FELICE PERRUCCHETTI 1868.
IL PIOVANO ARLOTTO
La presente Operetta è posta sotto la tutela della Legge sulla proprietà
letteraria, riserbandosi l'editore ogni diritto per agire contro
chiunque ne facesse contraffazione o ne smerciasse edizioni illecite e
contraffatte. Prato, Tip. Giachetti, Figlio e C.
PREFAZIO
Occorrendomi venire per queste parti mi sembra spediente di chiarire chi
sia, e come e perchè io mi movessi da casa. Io sono il piovano Arlotto
Mainardi, e nacqui in Firenze il giovedì di Berlingaccio del 1396 dove
parimente senza il mio consenso mi toccò a morire il 27 febbraio 1484;
alcuni scrivono nel 1483; ma ciò non è vero, e me lo potete credere
perchè, ecco, io mi ci trovai presente. Mio padre si chiamò Giovanni, e
fu per tutto il tempo della sua vita scannato più di san Quintino, il
quale, come sapete, suonava a messa co' tegoli, onde al povero uomo
accadde di sdrucciolare nelle Stinche più spesso, che le palle di
biliardo non entrano nelle buche. Non pertanto io mi ebbi parente
l'Arcivescovo santo Antonino, che fu santo davvero, imperciocchè ci
hanno i veri santi nella medesima guisa, che ai giorni nostri troviamo
le verità vere, e le verità, che non sono vere. Per le quali cose, io giudico che derivassero in me certe qualità che mi
accompagnarono durante la mia vita come sarebbe a dire la giocondità, la
malinconia, e il santo timore di Dio. Per la carità della casa Neroni, ed anco un po' per lo aiuto del mio
parente Arcivescovo (che ai preti purchè il soverchio non rompa il
coperchio sovvenire i congiunti non disdice) ottenni la chiesa pievania
di san Cresci, ma intendiamoci bene quello a Maciuoli, non già l'altro
Cresci in val Cava, che è un santo nel calendario di quello sboccato,
che fu, Dio lo perdoni, Messere Giovanni Boccaccio. Questa chiesa tenni
sposa fedele a mo' di fedelissima sposa, nè per altra o più bella, o più
ricca io volli lasciarla mai; l'ampliai, la dotai di navate di colonne
di pietra, la imbiancai levando dalle pareti le immagini dei santi, che
non facevano frutto[1] ci misi la sepoltura famosa con la iscrizione,
che parlava così: Questa sepoltura il piovano Arlotto la fece fare
per sè e per chi ci vuole entrare. ¹ Disse allo imbiancatore che la figura di santo Antonino lasciare
vi si poteva, non già quella che pur ci avea di santo Ansano a cui
per devozione da niuno era mai stata accesa una candela. MANNI. Voi avrete sentito dire, che io non sapeva leggere in altro libro,
eccettochè nel mio: ora questo è vero per metà, perchè sebbene io non
leggessi altro libro fuori del mio non per ciò io lo leggeva tutto;
figurava bensì svoltare le faccie, ma il mio cuore come i miei occhi non
andavano più oltre della prima, contenendosi in lei tutto quanto mi
abbisognava sapere, anzi mi pareva ce ne fosse d'avanzo. In fatti su
cotesta pagina ci si leggeva scritto: «Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te. «Fa' agli altri quello che vuoi sia fatto a te.» E per quanto me lo
consentisse la fragilità umana studiai, che questi due insegnamenti
fossero per così dire la sistola e la diastola del mio cuore: qualche
volta, io lo confesso, la voglia di rimbeccare mi vinse la mano, anzi
una volta l'Arcivescovo santo Antonino tuttochè parente mi mandò in
prigione, e fece bene; però desidero, che giudichiate voi stessi se io
meritava pietà non che perdono. Dovete dunque sapere che la mia nonna
buon'anima dette mio padre Giovanni all'avo Chinardo mentre egli
noverava appunto settanta anni, ond'è che trovandomi un dì in brigata
con certe femmine per avventura oltre al convenevole procaci, una di
costoro mescendomi da bere mi disse: Sere, bevete di questo, che gli è
di Carmignano legittimo e un'altra di rincalzo: Bevete a chiusi occhi,
che gli è legittimo più di voi... Continue reading book >>
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