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Ninnoli By: Gerolamo Rovetta (1854-1910) |
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NINNOLI
Storiella vecchia
Era matto o aveva fame?...
Cavalleria assassina
Scellerata!...
Quintino e Marco
Terza Edizione 1.° Migliaio
ROMA
CASA EDITRICE A. SOMMARUGA E C.
Via dell'Umiltà 1884
PROPRIETÀ LETTERARIA
901 Firenze, Tip. dell'Arte della Stampa.
Al mio carissimo Amico GIUSEPPE FRACCAROLI STORIELLA VECCHIA
Se Domenico Ghegola non fu un eroe, la colpa certo non è stata sua, ma
del coraggio che sempre gli venne meno in tutte le circostanze della
vita. Vi è, non è vero? un certo coraggio sui generis , così detto della
paura, il quale, alle volte, spinge anche i timidi a compiere prodigi
di valore.... Ebbene, lo credereste?... Domenico Ghegola non ebbe mai
neppure il coraggio della paura. Tuttavia, però, non bisogna credere che, di tanto in tanto, non se la
sentisse anche Menico, così tra carne e pelle, la fregola di essere o
almeno di parere un ammazzasette; ed anzi, si può dire di più, che,
per diventare un eroe, o soltanto un di quei buli capaci di tener la
gente in soggezione, egli avrebbe fatto di tutto; tranne, s'intende,
di mettere in pericolo una goccia del suo sangue, o un'ora della sua
vita. Egli non discorreva che di scherma, di duelli, di fucili e di cannoni.
Passava l'intera giornata in sala d'armi; e nel cortile di casa s'era
fatto costruire un bersaglio per divertirsi nel dopo pranzo. Le sue
stanze erano tappezzate di sciabole, di spade, di pugnali e di stocchi
di ogni forma e di ogni tempo, dalle scimitarre ricurve alla turca,
agli spadini flessibili delle Eccellenze veneziane. I quadri
ricordavano qualche battaglia fra le più sanguinose della storia;
nella sua camera, inchiodato forte sul muro, accanto al letto, teneva
un guancialino di pelle, sul quale, per esercitarsi il pugno, tirava
lesto lesto varii colpi di fioretto ogni mattina appena alzato, e ogni
sera prima di coricarsi. I ferma porte rappresentavano degli zuavi col
muso nero come il carbone, delle armature antiche e dei cannoni.... di
legno. La sua biblioteca conteneva i migliori trattati di scherma e i
codici più autorevoli della cavalleria; gli unici versi ch'egli
sapesse a memoria eran quelli del Tasso, quando descrive il duello di
Tancredi con Argante. Tutti i giorni, durante la guerra del 59, perchè la nostra è una
storiella vecchia, egli, a sentirlo dire, voleva passare il confine,
emigrare in Lombardia, correre in Piemonte, entrare nell'esercito,
arruolarsi con Garibaldi.... e invece restava sempre fermo al di qua
del Garda, non decidendosi mai al salto del Rubicone, brontolando con
le sue amiche contro il Comitato segreto , che non sapeva cogliere il
momento buono per farlo scappar via. Però, siccome egli tirava innanzi
colle chiacchiere, i suoi amici a poco a poco cominciarono a non
salutarlo e a non guardarlo più in faccia; le signore gli mandavano a
casa, per deriderlo, dei soldatini di piombo e delle spaducce di
legno, i monelli scrivevano il suo nome su per i muri, accompagnandolo
con degli aggettivi pochissimo lusinghieri; e Domenico Ghegola, per
paura di prendersi, una sera o l'altra, anche un paio di scapaccioni,
a buon conto preparò le valigie, poi, appena firmata la pace di
Villafranca, passò il confine col diretto, chiuso, tutto solo, in un
coupé di prima classe, e andò difilato fino a Brescia, dove prese un
quartierino in affitto e si fermò in esilio. A Brescia ci si trovò subito e molto bene. Egli faceva sempre vita in
mezzo agli ufficiali; andava con loro al caffè, al teatro, e al
passeggio sul corso di Torre Lunga , Dava loro delle lezioni sul modo
di battersi, di tirare, di stare a cavallo, e guardava i borghesi
dall'alto al basso... Continue reading book >>
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