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Roberta By: Luciano Zùccoli (1868-1929) |
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ROBERTA MILANO FRATELLI TREVES, EDITORI 1919. PREFAZIONE.
Sarebbe difficile dire quali fossero esattamente le intenzioni
dell'autore di Roberta allorchè egli scrisse, tra il 1896 e il 1897,
quel romanzo. Certo, non intendeva compiere una rivoluzione
letteraria, nè fondare una scuola; scriveva allora così sinceramente,
per impeto di passione e per commozione d'animo, come scrive oggi.
Egli viveva in una villa di quella incantevole Riviera di Levante, di
cui sono nel libro parecchi tentativi di descrizione. Gli venne
l'estro dallo spettacolo del mare, dalle luci stupende, dalla gioia
della natura che è, per tutta quella plaga, così ricca e possente? Gli
venne l'ispirazione da qualche ora di vita vissuta, più notevole e
strana, perchè infinitamente malinconica in quella ridente cornice? Forse e per l'una e per l'altra cagione scrisse Roberta ; per la
tristezza dei casi umani, per la bellezza degli spettacoli naturali; e
l'una e l'altra gli consigliarono una forma calda fino alla violenza,
bizzarra e impreveduta, carica d'imagini e di comparazioni originali.
Poi diede il libro alle stampe e non se ne curò più. Ma rileggendo oggi il volume, per questa nuova edizione messa fuori
dalla Casa Treves, l'autore s'è accorto che veramente c'era ragione a
schiamazzare come schiamazzarono i critici di quel tempo. In Roberta la forma l'ho detto è libera, strana, senza freno,
impetuosa, ardita. Sfogliamo insieme qualche pagina, e troviamo
qualche esempio. L'autore si sforza di personificare ogni senso ed
ogni sentimento e di chiudere un pensiero nel più stretto cerchio di
parole che gli sia possibile. «Mai, dice sul principio mai come
quando le due sorelle si gettavano una nelle braccia dell'altra, mai
come allora eran così fresche reduci dall'odio, mai come allora avevan
sentito passar sulle reni una cosa viscida e molle, che si chiama
ribrezzo». «I suoi pensieri sfilavano come una torma di volpi azzurre
sul disco bianco della luna». «Doveva attraversare le foreste
millenarie della passione, che tutte le donne pari a lei, avevano
attraversato». «La sua giovanezza era una chiara fonte in un parco
abbandonato». «Le vecchie regole morali erano goffe come una
processione di gesuiti attraverso a una folla di donne scarlatte». «E
le idee dei tempi rosei mutavano in una fuga di statue a cui il cuore
appendeva corone di rimpianto e di rimorso». Curioso a dirsi; nel mentre vado sfogliando quel romanzo e citando
poche imagini tra mille, mi soprapprende il pensiero che l'autore di
Roberta sia stato un precursore. Oserei dire, un precursore del
futurismo; ma d'un futurismo che non sconvolgeva nè il vocabolario nè
la grammatica, e che voleva essere prima di tutto sintetico e pronto,
immediato e dritto. Pare che Roberta volesse dire una parola meno
usata in quei tempi, vent'anni or sono, in cui o si imitava il
D'Annunzio, o si scriveva pedestremente, conversando alla buona col
lettore e mescolando la propria personalità con la personalità delle
figure che dovevan vivere la loro vita nel romanzo. E l'autore, qua e
là, nelle sue pagine, riduce l'imagine e il pensiero, per brevità, «al
motto d'un anello», come direbbe Amleto; e ne esce una musica delle
più inattese, che può essere bella, che può essere brutta, ma che non
è la fanfara festiva e stridente a cui siamo abituati. E così, per dare alcuni altri pochi esempi, ecco «la giornata
simmetrica che si dissolve nel circolo del tempo», «gli amici, figure
scialbe divenute più pallide in quell'ora di porpora», ed ecco imagini
anche più inquietanti: «Egli avrebbe potuto comporre un facile poema,
se avesse avuto l'espressione letteraria e la pazienza d'arrestare gli
scoiattoli molleggianti sulle branche della fantasia». «Era dunque
possibile che le agili e bianche dita salissero al corpetto e
intonassero la sinfonia classica dei bottoni che si slacciano?». Con questa sinfonia, chiudiamo; quantunque per tutto il libro, per
tutte le pagine; siano sparse largamente imagini così poco usate; e
mentre stiamo per riporlo, ci cade sotto gli occhi ancora questo
inatteso pensiero: «la voluttà più astuta non lascia traccia se non in
ricordi simili a pigmei, i quali corrano dove son passati i giganti»... Continue reading book >>
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